Operaio in sciopero (io)

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Bologna 27/01/2011

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martedì 16 giugno 2009

Articolo di Concita de Gregorio.

Gli amici se ne vanno

Naturalmente non c'è nessun complotto ai danni di Berlusconi. Non da parte della sinistra, come in modo piuttosto patetico il presidente del Consiglio vorrebbe far credere: sarebbe il primo caso al mondo di autogolpe, scriveva ieri Giovanni Maria Bellu, il presunto complotto essendo costituito dai comportamenti del premier medesimo. Caso Mills e corruzione eletta a sistema, voli di Stato e uso privato di beni pubblici, Noemigate - farfalline e minorenni - denunciato per primi dalla Fondazione Farefuturo di Fini e dalla moglie della vittima. Sono fatti. Quel che disturba Berlusconi è che ci sia qualcuno che li riferisce: «Io li rovino», ha detto qualche settimana fa ai suoi riuniti a palazzo Grazioli. Intendeva giornali e giornalisti. Sabato ha iniziato l'opera: ha chiamato l'industria italiana a non comprare pubblicità sui media (pochi) che non dipendono da lui. Pensa di rovinarli così, togliendo i soldi. È un sistema. Nella sua logica deve sembrargli l'unico: pagare o non pagare, questo è tutto. Non c'è nessun complotto, ovviamente, nemmeno da parte della destra come in modo altrettanto patetico i giornali e le tv che invece dipendono da lui (molti, quasi tutti) ieri cercavano di illustrare: non c'è un Bruto pronto ad accoltellarlo. È tutto molto più semplice. Silvio Berlusconi, lo abbiamo scritto il giorno del voto, ha perso le elezioni. La destra (in specie la Lega) le ha vinte, lui le ha perse: ha perso il plebiscito che si aspettava, quattro milioni di voti e sono stati meno di tre, il 45 per cento ed è stato il 35. Una sconfitta personale che era nell'aria da settimane. I nostri lettori ricorderanno che il 2 giugno, all'indomani del grande ricevimento al Quirinale, titolammo questa pagina «Assediato da se stesso»: al Colle uomini solitamente a lui vicini (ex alleati e attuali sottosegretari, signori dell'Opus Dei e centristi, ministri e imprenditori di gran nome) parlavano di una possibile sua sostituzione, al governo, all'indomani del voto. Perché i cattolici lo hanno abbandonato, perché Fini gli è ostile, perché la Lega è più forte. Per ragioni personali, anche: perché non sta bene, perché la passione per le ragazze occupa troppo del suo tempo. Dunque Letta, si diceva e si dice.
Letta che da molte settimane non si vede e tace. Letta o chiunque altro abbia la forza e il consenso necessario per fare da solo le riforme. Questo teme e sente Berlusconi: che gli suggeriscano di lasciar fare ad altri. Si infuria, allora: non è uomo capace di accettare sereno la quarta età privata e politica, l'idea di arretrare deve sembrargli una provocazione e un agguato. Piuttosto fa da solo e fa prima: fa subito. Così si capisce meglio cosa intenda Massimo D'Alema quando dice che potrebbe esserci «una scossa», un salto di qualità nella deriva autoritaria. Potrebbe farsi corrompere dal desiderio di mostrare il suo ultimo sussulto di vigore: battere il pugno adesso. Ci sono pessimi segnali, del resto: certe inchieste proseguono, i suoi plenipotenziari nel mirino, denunce in cammino che nemmeno Ghedini riesce a fermare. Allora serve un'opposizione pronta a fare la sua parte: vigile forte e reattiva, D'Alema ha ragione. Non distratta dalla battaglia precongressuale, per esempio. Un incoraggiamento a Franceschini, diciamo.

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